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LA SUCCESSIONE NEL CONTRATTO DI LOCAZIONE

Valido anche per gli eredi il contratto di locazione firmato da un solo comproprietario dell’immobile

Di sovente accade nella pratica che un immobile, pur appartenendo a più soggetti (ad es. per una situazione di comproprietà indivisa o ancora di comunione ereditaria fra loro), sia concesso in locazione da uno solo dei suoi titolari mediante stipula di apposito contratto intestato a nome di quest’ultimo.

Ora… Possono esservi problemi ai fini della regolarità del contratto?

No. L’atto stipulato è da ritenersi perfettamente valido ed efficace nei confronti di tutti gli interlocutori.

Giurisprudenza ormai consolidata (Cfr. fra tutte Cass., S.U., 11135/2012; Cass., sez. trib., 12332/2019; Cass., sez. III, 22540/2019) afferma in merito che ciascun soggetto è perfettamente in grado di procedere a stipulare (anche “uti singulus”) il contratto di locazione dell’immobile di cui ha la contitolarità.

E ciò sulla base della disciplina civilistica dettata in tema di comunione, per cui ogni comproprietario (rectius, comunista) è dotato di pari poteri gestori e quindi, avendo diritto (come gli altri) “di concorrere nell’amministrazione della cosa comune” (art. 1105, co. 1, Cod. Civ.), egli è perciò stesso pienamente legittimato a compiere su di essa ogni atto di ordinaria gestione fra cui rientra, per l’appunto, anche il potere di concedere in affitto l’immobile in comproprietà.

L’importante è tuttavia che la locazione stipulata non abbia durata superiore ai nove anni, nel qual caso (configurandosi un atto di straordinaria amministrazione) sarebbero per contro indispensabili, per la validità del contratto, anche i restanti contitolari del bene (art. 1108, c. 3, Cod. Civ.).

E il consenso degli altri comproprietari dell’immobile locato?

Si presume tacitamente reso. In altre parole, la prevalente giurisprudenza (Cfr. fra tutte Cass. sez. III, 22540/2019) ritiene applicabile, nei rapporti tra comproprietario-firmatario del contratto di locazione e gli altri contitolari del bene, la disciplina della “negotiorum gestio” di cui all’art. 2028 e segg. Cod. Civ.

E cioè la fattispecie per cui un soggetto, pur in assenza di obbligo alcuno, “assume scientemente la gestione di un affare altrui” procurando a quest’ultimo un indubbio vantaggio. Ora, per i supremi giudici, essendo la finalità usuale del contratto concluso dal singolo comproprietario quella di procurare un arricchimento (appunto, un vantaggio) nella sfera patrimoniale tanto propria quanto di tutti i contitolari del bene locato, si deve necessariamente presumere che il primo soggetto abbia agito con il tacito assenso dei secondi (cd. principio dell’affidamento).

Si tenga oltretutto presente in proposito che il comproprietario-locatore non ha l’onere di allegare al contratto stipulato il consenso degli altri contitolari dell’immobile né tantomeno di essere egli stesso dotato di qualsivoglia potere rappresentativo! In ogni caso, qualora dovesse emergere che il comproprietario-firmatario del contratto in oggetto ha operato senza domandare preventivamente il consenso degli altri contitolari della cosa locata, a questi ultimi viene comunque fornita dalla normativa in materia una doppia opportunità in via alternativa, e precisamente:

1) ratifica successiva del contratto locativo stipulato (ex art. 2032 Cod. Civ.).

Questa può essere effettuata, nel caso di specie, senza formalità particolari (può infatti bastare la semplice richiesta al locatore di corrispondere la relativa quota del canone di locazione già concordato) ma, in via prudenziale, opportuna pare sempre essere la forma scritta;

2) dichiarazione di dissenso (ex art. 2031, co. 2, Cod. Civ.).

In tal caso è data facoltà ai comproprietari-non firmatari di rivolgere al locatore qualsiasi pretesa per eventuali danni cagionati dalla locazione dell’intero immobile (ad es. quelli derivanti dall’aver affittato a un canone inferiore a quello reale o ancora dall’aver locato a persone manifestamente insolvibili).

Si precisa tuttavia che la dichiarazione di dissenso (per rilevare) deve essere sempre manifesta ed anteriore alla stipula del contratto di locazione da parte del singolo comproprietario. In caso contrario, il consenso dei contitolari-non firmatari si presume sempre esistente.

Quali le conseguenze per il conduttore in tale situazione?

Nessuna. Il rapporto che si instaura tra comproprietario-locatore e inquilino a seguito della stipula del contratto di locazione ha natura esclusivamente personale (Cfr. Cass., sez. III, n. 15433/2011 e n. 20371/2013).

Pertanto, l’eventuale assenza di consenso o poteri da parte del primo soggetto rileva solo nei rapporti interni tra questo e gli altri contitolari dell’immobile affittato e non può essere in alcun modo eccepita al conduttore, il quale ha invece prestato fede ai comportamenti ed alle dichiarazioni di colui che, in un primo tempo, sembrava operare con i dovuti titoli e prerogative.

In sostanza, l’inquilino resta al riparo da ogni pretesa eventualmente avanzata dagli altri contitolari del bene locato e potrà quindi continuare a godere del medesimo, non potendo infatti essere sfrattato né per il fatto della mancanza di consenso né tantomeno della sottoscrizione di tali soggetti sull’atto stipulato col comproprietario-locatore.

Si ma… A chi deve pagare il conduttore il canone della locazione?

Sempre al locatore salvo che questi abbia agito senza il consenso degli altri contitolari del bene.

In tal caso i referenti dell’inquilino possono variare a seconda che vi sia stata o meno ratifica del contratto di locazione già stipulato con il primo soggetto.

E cioè:

a) in caso di ratifica, il conduttore è tenuto (dietro apposita richiesta) a versare a ciascun contitolare del bene affittato la parte, proporzionale alla rispettiva quota di comproprietà indivisa, “dei canoni locatizi dovuti nel periodo successivo alla ratifica, non avendo tale atto efficacia retroattiva” (Cfr. Cass., sez. III, 22540/2019).

Si applica infatti in tal caso (in virtù del richiamo contenuto nell’art. 2032 Cod. Civ.) la disciplina del mandato senza rappresentanza (art. 1705 Cod. Civ.) che consente al mandante (rectius, il comproprietario-non firmatario della locazione) di riscuotere direttamente dal proprio debitore (rectius, il conduttore) il proprio credito (appunto, la quota di canone locatizio concordato);

b) in caso di mancata ratifica, il conduttore continua a versare gli importi del canone interamente al locatore. Gli altri contitolari del bene locato non hanno infatti titolo alcuno, nei confronti dell’inquilino, per vantare la corresponsione del canone, in quanto soggetti completamente estranei rispetto al contratto stipulato.

In caso di successione, il contratto sottoscritto resta valido anche per gli eredi di ciascuna parte?

Premesso che l’erede deve essere di per sé considerato alla stregua di un terzo rispetto al contratto di locazione stipulato, la regolarità di quest’ultimo non viene meno per il solo fatto della morte di uno o più dei soggetti coinvolti.

E difatti:

1) erede del comproprietario locatore.

In tal caso l’erede, per effetto dell’accettazione dell’eredità, subentra direttamente al de cuius nel ruolo di locatore.

All’uopo si ritiene oltretutto non necessaria la stipula di un nuovo contratto locativo col “vecchio” conduttore ma pare sufficiente l’invio a quest’ultimo di una semplice comunicazione scritta.

La posizione dell’erede appare pertanto qui del tutto similare a quella del terzo acquirente di un immobile locato.

Anche questi infatti, essendo “tenuto a rispettare la locazione, subentra dal giorno del suo acquisto, nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione” stesso. Possibile è pertanto l’applicazione analogica della previsione contenuta nell’art. 1602 Cod. Civ.;

2) erede del comproprietario-non locatore.

Anche qui la posizione dell’erede resta invariata.

Questi infatti subentra sempre nello stato del proprio de cuius e quindi anche nel complesso dei rapporti già in essere tra tale soggetto, il comproprietario-locatore e l’inquilino dell’immobile. Continua quindi a valere tutto quanto sopra esposto. La disciplina applicabile risulta cioè sempre quella della gestione di affari altrui.

A conferma di ciò giova ricordare, fra tutte, una previsione in merito di particolare rilevanza: l’art. 2028, comma 2, Cod. Civ. Tale norma prevede per l’appunto l’obbligo per il comproprietario-locatore “”di continuare nella gestione anche se l’interessato (rectius, il contitolare-non firmatario) muore prima che l’affare sia terminato (rectius, prima che la locazione sia conclusa), finché l’erede possa provvedere direttamente“;

3) erede del conduttore dell’immobile.

Pure in tal caso è normalmente previsto il subingresso dell’erede. Valgono anche qui pertanto le precedenti considerazioni svolte in relazione alla posizione dell’inquilino rispetto al contratto stipulato con il solo comproprietario-locatore.

Tuttavia può trovare altresì applicazione l’art. 1614 Cod. Civ. che consente all’erede (“se la locazione deve ancora durare per più di un anno ed è stata vietata la sublocazione“) di recedere dal vecchio contratto entro tre mesi dalla morte del proprio de cuius e con disdetta da comunicare (al solo comproprietario-locatore o a tutti i comunisti, a seconda) con preavviso non inferiore a tre mesi.

In conclusione, indipendentemente dal decesso del locatore piuttosto che degli altri contitolari della cosa locata o ancora dell’inquilino, la validità del contratto di locazione stipulato da un solo comproprietario dell’immobile resta sempre confermata anche per gli eredi di tutti i citati soggetti.

Dott. Luca Malfanti

(Homelyfe s.r.l. Patrimonial Solution – collaboratore / autore APPC Milano)

 

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